Dieci candeline per un’importante realtà rappresentativa del mondo professionale e delle imprese. Il 5 luglio è il compleanno di Confassociazioni, celebrazione che partirà la mattina con un evento in Sala Stampa della Camera dei Deputati con la piattaforma Italia Competente della stessa Confederazione. Dal pomeriggio lo scenario si sposta a piazza Colonna, nei saloni di Palazzo Ferrajoli, con la consegna dei Confassociazioni Awards, poi un’elegante conviviale e molto altro. Sarà il primo spunto per un anno di festa con iniziative che sottolineeranno i prossimi traguardi e le azioni da compiere sotto il segno fondante e i cardini della Confederazione, come sottolineato dal presidente Angelo Deiana: “Collaborazione, sviluppo, reputazione, fiducia, sguardo al futuro per la nostra famiglia”.
Confassociazioni-Confederazione Associazioni Professionali, realtà non-profit, oggi è fatta da 750 associazioni di professionisti, di imprese e di manager per un totale di 1 milione e 260.000 iscritti comprendendo circa 213.000 imprese. Un enorme spaccato della società italiana.
Oltre questo, la Confederazione conta anche cinque branch internazionali, in Regno Unito, Regno di Spagna, Emirati Arabi Uniti, Canada, Stati Uniti d’America.
Quello di Confassociazioni è stato un viaggio in sviluppo continuo, dalla nascita del 2 luglio 2013 quando si misero insieme i primi trenta fondatori e 42 associazioni professionali per un totale di circa 50.000 iscritti. Poi l’oggi, con le professionalità, le capacità e i numeri che compongono il ricco mosaico di questa Confederazione.
Ne traccia un quadro Angelo Deiana, presidente e fondatore di Confassociazioni, nonché presidente di ANPIB-Associazione Nazionale Private & Investment Bankers e di ANCP-Associazione Nazionale Consulenti Patrimoniali.
Giuseppe Grifeo – Dieci anni, tanti i passi compiuti, tanti valori da tenere ben fermi esaltando persone e professionalità. Ma l’inizio del cammino? Da dove pescava, quale esperienza avevate e come siete andati avanti?
Angelo Deiana – Sono un cultore delle reti da molto prima del 2013, l’anno in cui è nata Confassociazioni. Scrivevo sul tema a partire dalla fine degli anni 90, ci ho scritto per i primi dieci anni di questo secolo, anche perché ero presidente del comitato scientifico di un’altra organizzazione, la Colap (Coordinamento Libere Associazioni Professionali) che comunque promuoveva questo sistema di associazionismo professionale. Questa realtà si è battuta per le capacità di professionisti e delle relative associazioni di essere soggetti di mercato e non solo soggetti autorizzati dallo Stato. Lo ha fatto grazie alla mia capacità di costruire un meccanismo di accreditamento diverso da quello ordinistico, quindi un sistema che promuovesse queste professionalità e le loro rappresentanze associative.
Il tutto nell’ambito di una logica di tutela del consumatore e, chiaramente, di valorizzazione delle competenze.
Era originariamente un sistema molto frammentato, non perché doveva essere così, ma perché le singole associazioni sono espressione del settore dei professionisti. Tanto per comprenderci al meglio: se tu hai il sistema dei cardiochirurghi del ventricolo destro, non possono essere diecimila, ma sono quelli generati mediamente dalle fabbriche del sapere, le università, e che vanno a ricoprire quel ruolo.
G.G. – Un bel mosaico, complesso e colorato. Sarà stato arduo da comprendere, da interpretare e da portare allo sviluppo comune.
A.D. – Sono cresciuto attraverso gli stimoli e le proposte di questo mondo di enorme diversificazione. Sono professioni che ricoprono migliaia di profili con le rispettive associazioni. Le conosco da sempre. Un pezzo della mia autorevolezza nasce da tutto questo. C’è chi giocava e gioca a golf, mentre io mi interfacciavo con questi soggetti e lo facevo già dalla prima metà degli anni 90, traevo notizie e le ridavo: come si fa in rete, dentro un rapporto di scambio e investimento.
G.G. – Qualcosa però ha fatto scattare la molla del cambiamento, quella che ha fatto nascere Confassociazioni. Un ridisegno delle regole e delle opportunità per le realtà professionali.
A.D. – Sì, a un certo punto è accaduta una cosa nuova. Nel gennaio del 2013 è intervenuta questa legge (ndR: la n°4 del 14 gennaio) che nasce sul presupposto di un sistema duale ordini-associazioni di autorizzazione e accreditamento nei sistemi relazionali, che sostanzialmente era una mia creazione intellettuale, una mia ipotesi. Questa legge cambiò le carte in tavola. Il Colap che era l’organizzazione precedente per la quale operavo, aveva un atteggiamento molto rivendicativo che per l’epoca era giusto, comprensibile.
Il cambio di paradigma fu di non avere più una piattaforma che facesse solo rivendicazioni, ma costruirne una di collaborazione e sviluppo delle opportunità per tutti i soggetti coinvolti facendo tanta massa critica. Quindi, con numeri che travalicano i cardiochirurghi del ventricolo destro i quali, partecipando a un insieme, a un’organizzazione molto più grande, ottengono in rete ben altri risultati. Così nacque Confassociazioni. Venne alla luce dall’esigenza di costruire una rete di collaborazione, di sviluppo, ma soprattutto una rete che abbia dei valori molto profondi.
G.G. – Siamo al fulcro dell’azione di Confassociazioni, quello che vi definisce tutti. Come funziona e come opera la vostra Confederazione?
A.D. – Questi valori così radicati e profondi sono quelli che richiamano il principio della staffetta in atletica. Devi avere due logiche competendo in una staffetta: correre con i primi senza dimenticare gli altri. Nessuno dei due può essere tralasciato altrimenti si perde comunque. La capacità di questa massa critica è si quella di dare supporto, di dare sviluppo e tutto quello che ne consegue alle associazioni più importanti, ma bisogna essere molto attenti e bravi nel gestire quelli che sono più piccoli, che fanno più fatica, che hanno meno mezzi. Al di là di tutto, del contributo personale mio e del sistema di Confassociazioni, questo è il meccanismo che fa funzionare Confassociazioni e che le ha dato la possibilità di raggiungere questi risultati. Tutti lavorano su un sistema valoriale simile a quello di una grande famiglia. Le reti funzionano non soltanto sulle fredde relazioni di business che sì, sono significative, strategiche, da presidiare con attenzione ai dettagli – il diavolo si annida proprio nei dettagli -, ma devono avere anche un lato caldo. È il lato della vicinanza e della famiglia, quello che costruisce il processo più importante di qualsiasi rete: reputazione e fiducia. È il modello giusto che ha permesso di raggiungere gli orizzonti di Confassociazioni e che festeggiamo il 5 luglio 2023 per il suo decennale. Evento che poi aprirà un anno di festa e di iniziative. Il 5 luglio è solo la partenza. Faremo tantissime cose e ricorderemo a tutti non solo quello che abbiamo fatto, ma quanto vogliamo fare in futuro. Gli allori sono bellissimi, li mettiamo in bacheca, ma siamo proiettati sempre verso nuovi traguardi qualitativi e quantitativi.
G.G. – Quanti eravate all’inizio e quale il vostro comportamento nella conduzione di Confassociazioni?
A.D. – Vorrei ringraziare tutti i soci fondatori per quel che abbiamo costruito e per quanto abbiamo portato avanti e prepariamo per il futuro. In quel luglio del 2013 ci eravamo visti tutti a Roma, in una bellissima sala in via Bissolati, eravamo una trentina pur essendo 42 le associazioni presenti alla fondazione. Tutti provenivamo da esperienze precedenti di questo tipo, per cui c’era già un humus culturale molto forte. Soprattutto condividevamo il passaggio dal modello rivendicativo a quello collaborativo.
Voglio ricordarne alcuni facendo ammenda da subito con tutti. Quindi, Riccardo Alemanno, vicepresidente vicario di Confassociazioni nonché presidente dell’Istituto Nazionale Tributaristi, poi Franco Pagani, vicepresidente vicario aggiunto e presidente dell’Associazione Periti ed Esperti della Toscana, Federica De Pasquale, vicepresidente nazionale della Confederazione e vicepresidente per Pari Opportunità nonché colonna portante del sistema associativo di questo Paese, Claudio Antonelli, presidente del Comitato etico-scientifico di Confassociazioni.
La nostra realtà è un’organizzazione non-profit e come tale è strutturata in modo tale che i 420 appartenenti al management non percepiscano retribuzioni né rimborsi. È un investimento che queste persone fanno nella rete di Confassociazioni. Se questa rete funziona bene, genera ritorni indiretti di qualsiasi tipo che rendono tutti felici. Poi ognuno di noi ha il suo ruolo in Confassociazioni, lo ha anche in altre associazioni e porta avanti il proprio lavoro. Da qualche parte queste persone devono produrre reddito.
Non tutti vanno alla stessa velocità. In qualsiasi organizzazione, che sia una multinazionale o una piccola parrocchia, il sistema è sostanzialmente questo: il 20% tira come il leader; il 50% è più o meno neutro, fa il suo, ma non dà e non toglie; il 30% fa attrito. L’unico modo per far funzionare l’organizzazione, visto che nel nostro caso siamo non-profit e non diamo premi-incentivi, è ampliare la base. Su cento saranno in venti a tirare, su mille saranno 200.
Questo è il criterio di Confassociazioni: siamo sempre aperti ed inclusivi verso nuove idee, nuove persone, nuovi progetti, cosa che riassume un po’ il simbolo che è il nostro logo, una ruota che ricomprende tutte quelle stelle interne, tutte diverse tra loro e ricondotte all’unità dal principio dello stare insieme in rete e della staffetta.
Diversità, unità e movimento.
G.G. – Dieci anni sono tanti e ci saranno stati momenti particolarmente complessi a fianco di altri estremamente appaganti.
A.D. – Un momento difficile è stato recente. I numeri di Confassociazioni rendono merito di una nostra capacità di essere presenti a livelli istituzionali diversi, sul territorio e anche a livello internazionale con le nostre nuove branch in importantissimi paesi del Mondo.
Eppure, nonostante avessimo fatto domanda al Cnel per essere presenti, con percentuali di rappresentatività che, chiaramente, erano molto diverse e superiori ad altri, non siamo stati ammessi.
Questo per me è uno smacco. Non assoluto perché se non lo siamo adesso, lo saremo tra cinque anni: noi siamo sempre proiettati verso il futuro.
Però questo istante ci ha indotto a compiere una riflessione di tipo strategico. Per noi, come per tutte le reti – vale per i grandi social, per Apple, per Amazon -, i numeri e la rete sono un valore aggiunto straordinario, la massa critica è un valore aggiunto straordinario. Ma questo merito dei numeri e delle reti non funziona sempre così perché, come diceva Enrico Cuccia, tante volte i numeri non si contano, ma si pesano.
Ecco perché per noi che sommiamo competenza e numeri, questi dovrebbero avere un risultato assoluto, un punto che non dovrebbe mai essere messo in dubbio.
Quanto è accaduto ci ha indotti a una riflessione. Stiamo iniziando un ripensamento strategico, mai sui valori e non sugli obiettivi, ma su come tutti noi forse dobbiamo comunicare meglio e strutturare meglio questi numeri e queste competenze.
Quando sento molti dei soggetti di rappresentanza che chiedono una legge sulla rappresentanza (perché l’articolo 39 della Costituzione non è mai stato applicato), vorrei dire a tutti, “bravi, giusto, stiamo attenti perché la maggior parte di numeri che vengono citati in giro sono autocertificati”.
Per quanto riguarda i numeri di CONFASSOCIAZIONI, qui facciamo la differenza. Non sono numeri autocertificati, ma abbiamo i bonifici di tutti gli iscritti. Quindi, da noi non ci si può iscrivere se non attraverso un passaggio elettronico che è quello di un bonifico che certifica l’iscrizione. Dati e fatti. Non parole.
I momenti di grande soddisfazione sono stati tantissimi. I numeri raccontano la grande soddisfazione. Siamo riusciti a ottenere dei grandi risultati aiutando le nostre singole associazioni ad avere quello che meritavano. Questa nostra capacità di essere a fisarmonica, grandi e presenti sul piano delle competenze, della cultura sul piano internazionale.
Sul piano personale e dell’ufficio di presidenza, è la soddisfazione maggiore, perché significa che il modello funziona a prescindere dal contesto. Se abbiamo aperto nel Regno Unito, nel Regno di Spagna, negli Emirati Arabi Uniti, in Canada e negli Stati Uniti d’America e questi branch funzionano, è perché tutto il modello funziona, anche se lo mettessi in Indonesia come in Antartide.
G.G. – Volendo riassumere il modello Confassociazioni come quadro finale di questa articolata intervista?
A.D. – Aiutarsi, il network che fa famiglia, essere Confassociazioni che fa tre grandi cose.
Innanzitutto è una grande community di business, o meglio, le persone si devono conoscere per sviluppare insieme relazioni di business calde e io sono il più grande dei facilitatori di questo meccanismo.
Poi, tramite la massa critica, facciamo anche rappresentanza sui grandi temi. Non cannibalizziamo mai le nostre singole associazioni che sono più competenti di noi sui singoli temi. Però su fisco, previdenza, pari opportunità, sviluppo del Paese, competenze, formazione, aiutiamo il sistema Nazione a interagire con i grandi bic del mercato, con gli hardware e lo facciamo da veri azionisti del Paese quali ci definiamo.
Il sistema delle associazioni è un sistema di tanti software. Noi di Confassociazioni siamo il sistema operativo, quello che gli consente di parlare con i grandi hardware del Mondo difficili per le singole realtà per un puro problema di numeri.
Sono presidente di un altro paio di associazioni importanti del mondo bancario e finanziario, ma quando tu, nei numeri, sei 500 o 1.000, è evidente che i grandi hardware istituzionali di mercato non ti possono dare l’attenzione che vorresti.
Noi aiutiamo in questo interscambio.
Poi facciamo anche altro, qualcosa di molto significativo e di corrispondente con uno dei grandi valori di Confassociazioni. Visto che questo sistema produce idee, progetti e molto altro, noi li prendiamo e li portiamo nell’ecosistema che gira attorno a noi, verso aziende pubbliche e private, verso grandi hardware di mercato, politici e istituzionali.
In cambio nulla vogliamo. Prima di tutto perché siamo non-profit.
Poi perché quando promuovi una persona, un’idea, un progetto, un’associazione, se il grande hardware se lo compra, significa che ha preso la persona, l’idea, il progetto.
Siamo come un’elica propulsiva che vuole fare sviluppo.