La grande esportazione europea di pere poggia in gran parte sulla pericoltura italiana che da sempre è ai primi posti nel mondo, primato poco noto ai più, a cominciare dagli stessi italiani. Eppure il settore è in fortissima crisi con una contrazione del 35% dal 2011 al 2023, circa 15.000 ettari perduti e una stima sul dato definitivo del 2023 che vede un crollo della produzione pari al 75%. L’allarme è stato lanciato durante l’evento “Non una pera in meno – come rilanciare una filiera strategica del Made in Italy” al ministero dell’Agricoltura.
Al calo della produzione dovuto a elementi che hanno minato la coltura, è da aggiungere il progressivo calo dei prezzi per il deterioramento qualitativo con rese produttive passate da una media nazionale di 20,6 tonnellate per ettaro del 2022 alle 7,5 del 2023. Le previsioni fanno comprendere che i produttori di pere riusciranno soltanto a coprire il 25-30% dei costi di produzione.
Un momento nero per il bacino dell’Emilia-Romagna che è il territorio più rappresentativo e dominante in Italia per la produzione di pere d’eccellenza.
Questo panorama su cui si addensano nubi nere è stato presentato da Alleanza Cooperative Agroalimentari al ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste durante l’assemblea titolata “Non una pera in meno – come rilanciare una filiera strategica del Made in Italy”, riunendo le rappresentanze dei maggiori produttori tra aziende, cooperative, organi rappresentativi della pericoltura italiana.
Per il dicastero era presente sottosegretario Patrizio La Pietra.
Per dipingere al meglio la situazione gli organizzatori hanno avuto il sostegno delle analisi a cura di Nomisma che ha stilato un rapporto con dati netti e precisi.
Secondo il rapporto Nomisma, nel 2011 l'Italia produceva 926.000 tonnellate di pere. Di contro, nel 2023 la produzione si è fermata a 180.000 tonnellate, il 75% in meno rispetto ai volumi prodotti nel 2018: causa principale gli eventi atmosferici avversi di quest'anno, le gelate e i danni portati dalle alluvioni. Ma la coltura è stata vittima di precedenti calamità, nel 2019 la cimice asiatica, nel 2021 le gelate tardive, nel 2022 la siccità. La crisi colpisce soprattutto per le regioni del nord, Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia che, insieme al Piemonte - unica regione a non avere un calo delle superfici produttive -, rappresentano il 74% degli ettari nazionali vocati alla coltura del pero. Le province emiliane più colpite sono quelle di Modena (-80% di pere) e di Ferrara (-60%).
“Se negli anni addietro i nostri problemi erano il mercato e l’apertura di nuovi sbocchi commerciali, quest’anno purtroppo non siamo proprio riusciti a produrre”
Davide Vernocchi, coordinatore Ortofrutta di Alleanza cooperative
Come ribadito dallo stesso Vernocchi, il costo di un ettaro a pero supera i 20.000 euro, l’incremento 2023 dei costi è stato di 5.000 euro, mentre i 10 milioni stanziati dal ministro Lollobrigida per il settore sono del tutto insufficienti garantendo meno di mille euro di indennizzo a produttore. Da qui la richiesta di nuovi sostegni per il 2024.
La produzione media europea è scesa del 12,2% dal 2020 al 2022, ma cresce quella di paesi extraeuropei, in primis l’Argentina che ha fatto registrare una risalita del 13,8% dal 2021 a oggi.
Su tutti poi aleggia il gigante della Cina che detiene senza flettere il 24% dell’export mondiale di pere nel 2022 (tre punti superiore all’Europa che ha avuto una forte flessione) e il 75% della produzione globale (quando l’UE produce il 9% delle pere di tutto il mondo).
Finiremo schiacciati e vinti da grandi produzioni esterne all’Europa anche se queste sono qualitativamente molto inferiori?
“Il rischio fin troppo evidente è quello di veder aumentare il ricorso alle importazioni. Nel 2018 la bilancia commerciale era in attivo con un +92.000 tonnellate. A fine 2022 il saldo tra import ed export è passato in negativo con – 48.000 tonnellate. Se le esportazioni di pere hanno avuto un drammatico calo in volume pari a -62% dal 2018 al 2022, le importazioni da Olanda, Spagna, Argentina, ma anche Cile e Sud Africa, sono cresciute in volume del 70%, sempre nello stesso periodo. Il caso del pero è emblematico di quello che può accadere ad altri prodotti ortofrutticoli ed agroalimentari: non appena manca un prodotto in Europa, il vuoto viene automaticamente occupato da produzioni di altri paesi extra-Ue caratterizzate da standard inferiori sia in termini di sicurezza che di qualità”.
Carlo Piccini, presidente di Alleanza Cooperative Agroalimentari
Ma il quadro è sconfortante, il futuro di molte famiglie è appeso a un filo col pericolo, per la prima volta, di non poter trasmettere ai giovani, ai figli, la ricchezza di questa coltura, di veder morire molte imprese che non resisteranno.
Lo si è ben capito con l’intervento di Adriano Aldrovandi, presidente della Società Consortile UNAPera e del Consorzio Opera: mentre si esprimeva sulla situazione, la commozione lo ha bloccato per qualche istante.
“Le aziende agricole stanno spiantando i loro alberi. La crisi della pericoltura in queste province (ndR: emiliane) ha un impatto pesantissimo a livello economico e occupazionale, si sta impoverendo un intero territorio. Senza pere non c’è reddito, viene a mancare occupazione per tutte le figure che ruotano intorno alla coltura, dalla fase agricola a quella del confezionamento”.
Adriano Aldrovandi, presidente della Società Consortile UNAPera e del Consorzio Opera